il nostro fiume di casa
Per i fiorentini l’Arno è il fiume di casa. Non solo perchè entra in città dalla porta principale tagliando in due parti diseguali il centro storico. Ma anche per via di quel suo umore che tanto somiglia a quello dei fiorentini: estroso, bizzarro, imprevedibile. Collerico, a volte.
Nello scorso millennio sono state contate, fra piccole e grandi, la bellezza di quarantadue alluvioni. In occasione dell’ultimo disastroso diluvio, quello del 1966, i ponti rimasero miracolosamente tutti in piedi. Non furono altrettanto fortunati nel 1333 quando solo il ponte alle Grazie si salvò dalla furia distruttrice del fiume.
Il ponte Vecchio venne ricostruito pochi anni dopo quella data nefasta, tanto forte e solido da resistere alle ulteriori minacce degli elementi, e a quelle degli uomini. È questo il ponte di Firenze più caratteristico, quello che più somiglia alla città del medioevo, con quelle casupole che sporgono sull’Arno, la sottile poesia dei suoi colori pastello che si sdoppiano nell’acqua, nella loggia centrale, inaspettato colpo di scena che rompe la severa cortina murata e apre lo sguardo sul fiume e la città intera.
Gli artigiani del medioevo sfuttavano l’acqua d’Arno peggio che un ragazzo di bottega: per la conciatura e la tintura del pellame serviva tanta acqua corrente che il fiume forniva gratuitamente, ricevendo in cambio veleni colorati e maleodoranti d’ogni tipo. Altro che bel nastro d’argento!
Il fiume era, per i fiorentini di allora, vita e ricchezza. Oggi i palazzi dei lungarni specchiano nell’acqua la loro vanità e il fiume è solcato solo dai canottieri e dai barchini dei renaioli che accompagnano i turisti al tramonto.
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